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"L'enigma dell'arrivo" è nello stesso tempo un'intensa meditazione autobiografica e una delle più ipnotiche narrazioni della maturità di Naipaul. Tutto ruota intorno al luogo in cui lo scrittore si insedia al suo ennesimo ritorno in Inghilterra: un cottage nella valle del Wiltshire che solo un breve viottolo separa dall'incanto arcano di Stonehenge, i cui antichi tumuli "profilati contro il cielo" si intravedono dal varco di una siepe. Da qui - da questo osservatorio opaco e metafisico, dove cupi parchi secolari convivono con autostrade solcate da camion colorati come giocattoli - lo scrittore scruta e ricorda, in un unico flusso. Scruta la comunità circostante (mungitori, contadini, piccoli imprenditori e giardinieri in tweed) come un microcosmo ibernato in una "rete di risentimenti reciproci", di gente infelice che per sopravvivere deve restare "cieca alla propria condizione". E ricorda le tante sequenze del suo passato di nomade e apolide, dalla Trinidad romantica e perduta della sua infanzia (un universo "di campi di canna da zucchero e di capanne e di bambini scalzi") a una Londra "estranea e sconosciuta", che gli porterà - tra i doni taumaturgici - una passione febbrile per Charles Dickens. L'esito è un percorso umano e intellettuale di disillusione radicale, in cui Naipaul - immettendo nella propria cadenza un inconsueto timbro malinconico - trova il solo appiglio e la sola vera patria in una tortuosa vocazione di scrittore.